mercoledì 14 ottobre 2009

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venerdì 28 agosto 2009

Col voucher melagodo

Eh sì, è proprio così. Stavo lavando la macchina (dopo qualche anno) a un distributore e mentre aspettavo mi sono guardato la lista degli utilissimi premi del gestore. Fra questi, un pò a sorpresa, voucher per pagare (o forse meglio co-finanziare) le vacanze che appunto si chiama melagodo. Lo ammetto ho avuto un flashback di considerevole portata pensando a tutte le discussioni e le letture sui voucher sociali: asimmetrie informative, scremature dell'utenza, emersione (o riemersione) del mercato nero. Forse abbiamo esagerato. Non dico di buttare tutto sul godereccio, ma credo che si poteva essere più "laici" (oddio!) su questa partita. Comunque questo dei voucher è un mercato in espansione. E ambivalente. Facilita la scelta (a condizioni piuttosto complesse da garantire), ma forse riduce anche i margini di libertà (almeno in alcuni mercati, non certo in quello sociale).

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giovedì 27 agosto 2009

Obama ti ama

“Se hai problemi di salute ti mette in cooperativa”. Potrebbe essere uno degli aforismi della rubrica “Obama ti ama” pubblicata con successo da Internazionale. Anche perché la sentenza è ambivalente. Da una parte si riferisce al tentativo di garantire un’assicurazione sanitaria a milioni di cittadini che ne sono esclusi. Dall’altra potrebbe apparire come una minaccia neanche troppo velata per una cultura fondata sull’esercizio di libertà individuali e che quindi vede con sospetto ogni forma di “collettivizzazione” dei diritti. Non è un caso che “socialista” sia una delle accuse preferite dagli oppositori al progetto.

Se però si gratta via la patina ideologica emergono questioni rilevanti di una issue politica che è centrale per la nuova amministrazione. La principale riguarda la gestione del processo di mutualizzazione che dovrebbe portare alla costituzione o al rafforzamento delle cooperative sanitarie. Anche perché fino ad oggi le indagini nordamericane si sono concentrate più sul fenomeno opposto, ovvero la de-mutualizzazione delle cooperative e sulla loro deriva tecnocratica o “aziendalista”.

Quali sono dunque i principali elementi di attenzione rispetto ad un’operazione di per sé complessa e che per di più richiede tempi di attuazione non biblici, pena la rivincita delle lobby tradizionali? Come è possibile, in altri termini, accelerare senza snaturare in senso statalista o neo mercantile il percorso di aggregazione di milioni di cittadini, molti dei quali vivono situazioni di forte disagio? Guardando in chiave storica all’evoluzione del movimento cooperativo, ben presente peraltro anche negli Stati Uniti, emergono, fra gli altri, due fattori chiave. Il primo è la consapevolezza dei promotori rispetto ai loro bisogni (elemento da non dare per scontato quando si parla di povertà immateriali e bisogni complessi), ma anche delle risorse, per quanto residuali, di cui sono portatori. Questo è un primo importante passo per la costituzione di imprese con una mission ben definita e dove i proprietari sono tali, cioè sanno assumersi ben precise responsabilità. Il secondo elemento che può aiutare lo sviluppo cooperativo è l’ideologia, ovvero un orizzonte culturale e valoriale che ispiri le azioni dei soci e degli amministratori nel medio lungo periodo. Tutta la storia della cooperazione si caratterizza per un rapporto stretto – a volte anche eccessivamente – con ben precise matrici ideologico / culturali. Nell’esperienza passata le chiese e i partiti hanno svolto questo ruolo, oggi poco (o per nulla) proponibile. Forse in un contesto come quello statunitense un riferimento ancora ricco di significati potrebbe venire dalla reinterpretazione dei principi costituzionali che sono alla base del loro patto sociale. La libertà, il benessere, la felicità delle persone forse non sono solo un fatto individuale ma obiettivi perseguibili anche in forma associativa. Niente di nuovo sotto il sole. Non era forse Tocqueville che oltre un secolo e mezzo fa vedeva nel fiorire delle forme associative la principale qualità della democrazia in america?

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giovedì 6 agosto 2009

Gli Zombie e Durkheim

La divisione delle attività umane in tanti diversi spazi di vita è forse la principale trasformazione che segna l'avvento della modernità. Campo privilegiato è stato il lavoro, oggetto di una segmentazione per specializzazione che ha raggiunto livelli ormai quasi parossistici. Per funzionare questo sistema ha però bisogno, fra l'altro, di un certo tempo e di una certa stabilità sociale che consenta di "oliare" le routine in modo che ruoli e procedure vengano interiorizzate e ulteriormente specializzate. L'avvento di situazioni traumatiche può aiutare, se non a sovvertire l'ordine, almeno a svelare le regole che ne presidiano il funzionamento e ne fissano le priorità. Su questi temi ci sono fior di saggi e analisi, ma, visto anche il periodo da ombrellone, anche la fiction aiuta. In un romanzo di Max Brooks (figlio del più famoso Mel) pubblicato nel 2006 (Cooper edizioni, ma girano anche i trailer di un film) si narra di una guerra mondiale contro un'epidemia che trasforma gli umani in zombie. Uno degli aspetti su cui si sofferma il libro, scritto peraltro come fosse un report sui fatti destinato alle Nazioni Unite ma poi rifiutato, è il modo in cui l'epidemia costringe i superstiti a ri-organizzare la loro vita in funzione della guerra ai mostri. Cambiano le priorità e con esse i ruoli e le risorse. Che ce ne facciamo dei knowledge workers ecc. quando invece servono artigiani, cacciatori, ecc.? E soprattutto di gente che sa fare una sola cosa soltanto (anche se benissimo)? Ora, la crisi finanziaria attuale non pone forse gli stessi problemi, ma la questione sì. Che può essere affrontata attraverso un classico "giro di valzer" dell'assetto esistente (con qualcuno che diventerà più importante di altri e viceversa), ma sarebbe un'occasione persa perché in realtà occorre rifondare su nuove basi il "saper fare" delle persone. Lo svolgimento di un'attività e del ruolo connesso non implica la separazione netta da altre. Il caso del prosumer (un'agente che è insieme produttore e consumatore del bene) è solo uno degli ambiti dove si potrebbe agire. A patto di poter disporre di modelli organizzativi capaci di favorire queste ibridazioni, limitandone l'inevitabile aumento dei costi di transazione e dando valore agli elementi di contenuto che invece ne potranno scaturire.

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giovedì 30 luglio 2009

Ce pensa Vinicio

Occhio a questo convegno. Direi l'evento dell'anno. Da non perdere per i seguenti motivi:
- lo straordinario autolesionismo: pars destruens strutturatissima e costruens piena di asterischi (apettando... Goffredo);
- l'incredibile rinnovamento della classe dirigente (vedasi apertura dei lavori);
- l'innovazione delle forme di comunicazione e rappresentanza: la trovata della "la carta del terzo settore" richiedeva proprio l'intervento degli "eversivi" di Famiglia Cristiana (su Redattore Sociale invece taccio).

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venerdì 24 luglio 2009

Sintesi di un'epoca

"Al ferro / padre di tutte le industrie / queste officine / siccome tempio / Leopoldo II / dava". MDCC ecc. ecc. Epigrafe sulla vecchia ferriera di Follonica, oggi biblioteca "della ghisa" e altre cose che non ho ben capito. Mi piacciono le lapidi commemorative. Questa poi è superlativa.

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martedì 21 luglio 2009

In spiaggia, di lunedì

Dopo il carnaio del fine settimana dove le voci si confondono, il lunedì, con meno gente, si sentono un pò di discorsi. Si tasta il polso del paese in spiaggia, mentre le generazioni si confrontano a racchettoni sul bagnasciuga con gli anziani che ne escono quasi sempre vincenti, grazie agli allenamenti di anni di vacanze lunghe che oggi non si fanno. Della crisi comunque non si parla. Non molto. Si fanno discorsi più generali rispetto ad un mondo che non c'è più. Quando tutti, bene o male, avevano una rendita di posizione che oggi appare deteriorata (dai gestori dei bagni, ai camerieri). La crisi sembra solo un tappa di un passaggio d'epoca che comunque sarebbe (è) avvenuto. Ma una speranza ancora c'è. I figli / nipoti che fanno faville all'estero. Speriamo sia vero.